8 settembre 2009

Lancio della campagna Congressuale della mozione Bersani

Un commento di Santina Bosco
Domenica 6 settembre, ore 17, una valanga di gente che riempie tutto il PalaLido di Milano.
L’occasione è quella della apertura della campagna congressuale alla segreteria del PD da parte di Pierluigi Bersani, in contemporanea alla festa democratica del vicino PalaSharp: una decisione che ha scatenato arrabbiature ed accuse di sottrazione di pubblico.

Comunque siamo qui, rumoreggianti per il (solito) inizio in ritardo, quando finalmente si presentano tutti insieme Bersani con Enrico Letta, Rosy Bindi e Massimo Dalema. Penati c’è, ma nelle retrovie. Vedo anche Matteo Colaninno e Livia Turco, e poi Vimercati e Porcari, Matteo Mauri ed altri leader locali. Servizio d’ordine vestito alla Blues Brothers.

Tutti gli oratori dicono che è iniziata la fase finale di Berlusconi e citano varie metafore: c’è chi si fa trascinare dai ricordi scolastici del declino dell’Impero Romano d’Occidente e chi parla cinematograficamente di viale del Tramonto, Bersani poeticamente dice “imbrunire”.....il concetto è chiaro.
Il primo speech è di Letta, che raccoglie consensi dalla folla perché dice cose inaspettate (per lui, che non è ben noto a questo pubblico), quali salutare in assenza Franceschini e Marino ricordando che il nemico è altrove e si chiama Berlusconi.; però strappa l’applauso quando dice che se il primo obiettivo bersaniano è quello di vincere le Primarie, quello finale è battere Berlusconi. E qui svela che Di Pietro è in sala;: è vero, lo vediamo, ma non dice nulla.
Tra un leader e l’altro parlano rappresentanti della piccola/media impresa, una direttrice scolastica, una donna impegnata della società civile e un sindacalista, vengono calorosamente applauditi, ma l’attesa di tutti è per i politici.
Rosy Bindi fa un bellissimo intervento, accolto da una salva di affettuosi applausi ed interrotto da altrettanti boati di consenso; ad esempio quando parlando della Lega e dei cattolici racconta che un prete suo amico l’ha ammonita a smettere di parlare sempre e solo delle proprie radici, dicendole che “un albero si riconosce dai suoi frutti e non dalle sue radici” e bisogna stare attenti se i frutti sono velenosi. Auspica che il declino di Berlusconi sia più rapido di quello dell’Impero Romano d’Occidente, mi sembra che prenda in giro questa ventata di speranza di vincere grazie alla morte provvidenziale dell’avversario.
Dalema è Dalema, non si scappa; caustico, divertente, disegna un mondo di intrighi attorno a Berlusconi, con giornalisti/sicari e cortigiane. Non dice nulla su quello che secondo lui ci vorrebbe per il partito e per il paese, ma distilla il suo intervento con grande maestria. (Quando alla fine tutti i big tornano sul palco, lui non c’è). Un grande, come Mazarino.
Ed infine arriva Bersani, con un discorso molto acuto e realistico, pratico ed accattivamente, che punta all’obiettivo di essere e costruire una alternativa di governo. Un discorso da segretario eletto, Bersani è manifestamente sicuro di avere lui la ricetta giusta per liberare noi ed il paese dalla destra che oggi spadroneggia. Le parole più belle sono quelle sulla economia vera, su come dovrebbe essere, liberata dalla cattiva finanza tremontiana: è molto divertente quando parla degli errori di “Giulio”, ma si sente il riso amaro di chi pensa che quell’uomo sta giocando con il nostro futuro.
Non parla tanto della forma partito, non chiarisce bene come deve essere fatto il partito bocciofila, ma si capisce che le alleanze ricercate sono simili a quelle del mai abbastanza compianto Ulivo.
Usciamo convinti che sarà un ottimo segretario, come è stato un ottimo ministro.